Leonardo

Fascicolo 11


Studia Leviora
di Marcellus (Raffaello Piccoli)
p. 8


p. 8



   Romolo Ouaglino, gran signore e candidato politico socialista, al cospetto della poesia italiana vuole apparire, secondo la sua confessione, un carducciano. Gli sono testimoni due dei suoi libri di poesia, Fiori Brumali (1897) e Cibéle Madre (1903), raccolte di liriche deboli e scolastiche; delle quali la seconda, con alcune pesanti e cadenti odi carducciane, contiene componimenti di diversa natura, tratti da altri suoi libri a stonare piacevolmente in questo. Ma per sua sventura due altri suoi libri di versi, e un romanzo, lo pongono a suo dispetto tra i simbolisti e coloro che sì dicono decadenti: imitatori, in Italia, di modi francesi, letterati vacui, pretenziosi e, quel che è peggio, antinazionali: come essi violano la natura della poesia italiana, e lo spirito sano del nostro ingegno.
   Di Modi, Anime e Simboli, scrisse lodando il Mercure de France: «Les Modi sont l'oeuvre d'un poéte, qui écrit en italien les vers français», secondo riporta in una nota d'un suo libro esso l'autore, che non pare aver capito le parole. Questo elogio contiene intera la condanna dell'opera. Apre il libro, una lettera di G. P. Lucini, altro di questi letterati nutriti di latte di balia straniera: una lunga lettera apologetica, con qualche buona osservazione critica, con qualche errore di grammatica e di ortografia, ma che ha scarsi rapporti col libro: come non si sa che relazioni abbiano certe carte alluminate di cattivo gusto e certi simboli d'astrologia caldea. L'intuizione del Ouaglino era d'esprimere la sua sapienza (egli era già autore di tre saggi sociologici) in poesia simbolistica: osservate questa proposizione di squisita fattura:

L'analisi universa
de la natura diè la tëoria
darwiniana; conversa
poscia nel campo della poësia
ne trasse il sillogismo
che solo il simbolismo
può comprender dei mondi l'armonia,

ispirata a certo inno, che ha la stessa concitazione lirica e cantano a Milano nei comizi:

al grande ideal del socialismo.

Tutto il libro è grave di filosofia morale e storica, in versi o carducciani o d'annunziani; e finalmente, di Amore. Dice il Ouaglino:

l'Arte somiglia sagace signora
che fa d'Amore una cerebrazione,

lucido e retto intendimento di poeta, a voler dir lo vero, come chiara ed arguta la divisione della poesia secondo le parti del corpo umano nominato latinamente. Dopo descritti amori morbosi, o ideali o sensuali, e fatto parlare eroine di melodrammi con profondità singolare, in Et cauda ultima parte del corpo e del libro, i sensi fugano l'anima e l'autore trae la morale.
   I «Dialoghi d'Esteta» (1899) e il romanzo «L'anima delle carni» (1903) (pubblicato sotto lo pseudonimo di Giorgio Ofredi) sono libri intimamente congiunti: opera mediocre, secondo la distinzione del Croce a proposito del D'Annunzio, di dilettantismo psichico, malgrado gli accenti di serietà e di dolore; opera, come le altre, impotente di dilettantismo estetico. I versi sono liberi, poveri di armonia, costrutti assai lontano dalla tradizione. L'esteta si può dir tale solo nella volgarissima accezione della parola, e lungo i faticosi dialoghi esprime disparatissimi problemi d'etica e di gnoseologia con le loro più contrarie soluzioni, ora aristocratico, monarchico, individualista, ora ammiratore dei rivoltosi e collettivista in senso lato; ora predica la umiltà dell'opera senza nome, ora afferma che l'uomo «dovrebbe unicamente operare a la perfezione del suo modo d'essere e che l'esprimerlo sia sempre uno spreco di forze» (questi sono versi dell'autore). In tutta questa merce di filosofo rigattiere, non poesie, ma, nel suo senso, estesie, è steso un drappo appariscente e sdrucito di parole.
   Il romanzo trascina senza intreccio alcuni motivi dei Dialoghi, sull'Amore, per trecento pagine di prosa brutta, incerta nell'ortografia, povera, impropria, impura nella lingua. Per una sequela di viltà, l'anima delle carni, quella onde emana la passione e la felicità degli individui, conduce un uomo, che una maliarda tiene in sua balìa, alle ultime disperazioni; per risorgere con l'anima superiore al fascino della rinuncia e ad un sogno di socialismo.
   Non mi dolgo della illogicità psicologica, ma biasimo la stolida ed ipocrita divisione delle anime, il separato procedere di due forze ragionanti in noi, l'angelo e la bestia, come nelle parabole cristiane.
   L'uomo è uomo: se decade secondo l'anima delle carni, non può risorgere secondo l'anima intellettiva; la vita intima e spirituale è unica e ad essa concorre ogni nostro studio, che è anche amore, secondo il Pascoli. Nè ascensione umana verso l'idea-stato di Dio può compirsi da chi provi il fascino della rinuncia e s'estenui bizantineggiando. Soli ed interi, col corpo e con l'anima volti al fine unico, che è ín noi e per noi; liberi e mondi, e pieni della divina anima della patria, edifichiamo l'anima nostra e il nostro intelletto, contro tutti i filosofi deboli, contro tutti i poeti falsi, contro tutte le anime che si fanno straniere.


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